INTERVISTE
Rocky è il paladino degli emarginati, un uomo che ha sconfitto la povertà combattendo per i suoi ideali. Crede che il suo eroismo sia attuale?
Quando ho scritto il film, pensavo soprattutto ad un pubblico di miei coetanei. Ma il grande consenso dei giovani mi ha convinto di quanto sia ancora forte il suo messaggio di fede e di speranza. Ho voluto raccontare una storia sulla vita e sugli eroi, che fanno piccole cose e credono in se stessi fino in fondo. I ragazzi s’identificano ancora in lui, lo applaudono e prendono a modello il suo coraggio.
La scena in cui Rocky siede davanti alla tomba della moglie Adriana, ricorda molto “I cavalieri del Nord Ovest”, un film di John Ford dove John Wayne è protagonista. Ha voluto rendergli omaggio?
John Ford era un grande regista con il pregio della semplicità. Anche io volevo fare un film senza troppi movimenti di macchina, carrellate o zoom, che fosse il più possibile immediato. Mi interessava soltanto comunicare i sentimenti del personaggio. Sua moglie non c’è più e Rocky combatte una battaglia personale contro il dolore. Con il suo classico cappello, di fronte alla lapide di Adriana, alla fine può dire: “Adesso ce l’ho fatta”.
E riguardo a John Wayne?
Wayne è stato il primo uomo che ho conosciuto ad Hollywood. Recitava con gran naturalezza, in modo chiaro e diretto. Mi piacerebbe si potesse fare anche oggi allo stesso modo, ma il cinema attuale non lo consente.
Quanto si è allenato per prepararsi al ring?
Molto, perché sono decisamente invecchiato! Ho dovuto cambiare filosofia rispetto al passato, dedicando maggiore attenzione al sollevamento pesi e meno all’attività di body builder. Mi sono fatto male: dita rotte, mani rotte, ma ne è valsa la pena perché non sono mai stato tanto grosso!
Lei si sente un italiano?
Al cento per cento. Il mio stile di vita, fisico e artistico, viene tutto da questa terra.
Si sente molto legato al suo personaggio?
Direi proprio di sì, perchè lo considero una parte di me. Ci sono voluti molti anni per realizzare questa conclusione alla sua vicenda. Inizialmente alla MGM non hanno apprezzato l’idea di un altro capitolo. Con l’arrivo di un nuovo direttore la situazione è uscita dal suo stallo. Provavo una gran paura e temevo che il fallimento mi avrebbe precluso altri progetti. Poi, quando ho riscontrato l’affluenza di giovani nelle sale, ho sentito soddisfazione e sollievo. Credere in se stessi è indispensabile per ottenere buoni risultati.
Cosa può dirci sull’ultimo capitolo della saga di Rambo che ha in progetto?
E’ del tutto diverso da “Rocky”. “Rambo” racconta di oscurità ed isolamento, di un uomo silenzioso che affronta ogni giorno i suoi demoni. Non è facile da realizzare, ma cercherò di farlo. Prima, però, vorrei portare a termine alcune idee, tra le quali un film sulla morte dei due rappers 2pac e Notorious B.I.G.
Che tipo di allenamento ha intenzione di seguire?
Rambo è una specie di bestia, che ha perduto ogni contatto con la civiltà. Voglio creare un incrocio tra un gorilla e un atleta animalesco. Al momento, comunque, mi interessa soltanto mangiare un bel po’ di schifezze.
Qualche anno fa, girava voce di un match all’ultimo sangue tra Rocky ed un pugile alieno…
Niente di più assurdo! L’unico alieno che ho incontrato sullo schermo è Dolph Lundgren. Lui sì, che è fuori dal mondo. Ma tra le proposte più insensate che mi hanno fatto, ricordo l’idea di far combattere Rocky contro Rambo. Sicuramente avrebbe vinto il secondo: troppo spietato.
Cosa pensa degli attuali film sul pugilato, come “Million Dollar Baby” o “Cinderella Man”?
Molto belli, ma non proprio quello che ci si aspetterebbe da una storia di boxe. Per rientrare appieno nella categoria, i cazzotti li devi dare e ricevere davvero!
Ecco un’intervista rilasciata dall’attore dopo la conferenza stampa tenuta il 15 gennaio al Ritz di Parigi.Come si ritrova nella pelle di Rocky Balboa trent’anni dopo la prima esperienza?
Fisicamente è stato molto difficile! (ride nel dirlo). Invecchiando è un po’ più faticoso avere certe performances fisiche. Avevo l’impressione di recitare nel Mago di Oz, prima che l’Uomo di latta avesse oliato le sue articolazioni. Ero un po’ arrugginito insomma. Al di là di questo ero molto più emozionato a girare questo film che in ogni altra occasione. Arriverei al punto di dire che è la cosa più importante che io abbia mai fatto. Si tratta dell’ultimo film e volevo proprio che fosse di buon livello. Ho messo tutto quello che avevo in questo film perché ero rimasto molto deluso da Rocky V e volevo dare al mio eroe un bell’addio e trasmettere nello stesso tempo molto amore al pubblico.
Non le sembra che sia stato un rischio?
Quando ho detto che stavo per fare questo film, sapevo bene che si sarebbero presi gioco di me, che sarei stato considerato il più grande idiota della terra. E forse lo ero! Ma ho voluto veramente mettermi alla prova. Mia moglie piangeva supplicandomi di non farlo. Ma io mi sono detto che se era questo quello di cui soffrivo, forse anche altri soffrivano per lo stesso motivo: invecchiare, sentirsi sempre giovane nel cuore ma vecchio nel corpo, trovare difficile questa vita.
Quali scogli vorrebbe evitare raccontandoci questa storia?
Mia moglie mi ha detto che nei miei ultimi film c’era troppa vanità, troppo Sylvester Stallone… Mi ha consigliato di non preoccuparmi né del trucco né del mio aspetto. L’importante doveva essere quello che io provavo. È questo che fa la differenza in questo film: sono veramente entrato nella parte. Vivevo davvero le emozioni di Rocky, ero davvero insieme agli altri personaggi. I miei personali pensieri non erano importanti, era importante essere vero.
Ci sarà un Rocky VII, se il film funziona?
Se il film ha successo, non potrei fare di meglio di così. Questo è un addio, perché Rocky deve essere sempre sul ring e… io non tornerei sul ring una nuova volta. È troppo impegnativo.
Perché avete deciso di far morire Adriana?
Nella prima versione della sceneggiatura, lei restava viva. Rocky aveva una palestra per bambini ma era molto povero e nessuno lo voleva aiutare. Il solo mezzo per trovare denaro era insomma quello di tornare sul ring e di combattere. Ma mi sono detto che tutto ciò non mi sembrava molto emozionante. Una storia che ruotava intorno solo al trovare dei soldi… Il primo Rocky ha funzionato perché era un percorso emozionale. Il solo modo di raggiungere lo stesso obiettivo era quello di far morire la cosa che Rocky amava di più. Quando ho detto questo allo sceneggiatore è stato un disastro, “Ho avuto un’ottima idea per il film, ed ecco che arrivi tu…”, mi avrebbe ucciso insomma.
Rocky è il ruolo di una vita per lei. Che cosa intende fare dopo?
Niente. Sarà onesto con voi, potrei dirvi che ci sarà un altro ruolo ma non ci sarà mai nulla come Rocky che per me è come un fratello. Quando ho finito di girare il film ero molto triste di perderlo. È tutto quello che ho, tutto quello che la mia famiglia ha, tutto grazie a questo piccolo pugile. Fa parte della mia vita da trent’anni, io vivo e morirò con lui. Per contratto dovrei fare un altro Rambo che però non ho molta voglia di fare, ma non ho scelta, ho firmato il contratto due anni fa. Fare una storia su di un guerriero può ancora voler dire qualcosa ai nostri giorni? Sarà un viaggio, una specie di ritorno a casa.
Per questo film ha scelto di avere come avversario un vero pugile, un campione del mondo, Antonio Tarver. Perché questa scelta?
È l’ultimo Rocky e volevo che fosse il più realista possibile. Quando si hanno due attori sul ring, si hanno due inesperti. Sono lenti, non hanno competenze. Ho pensato che fosse meglio mettere a confronto Rocky con un vero campione. L’unico trucco, l’unico imbroglio…. ero io! Volevo che mi colpisse molto, volevo che fosse un vero combattimento, volevo che gli spettatori facendo un fermo-immagine vedessero il contatto. È un film sul dolore. Se non ha successo, potrò almeno dirmi che ho cercato di essere il più realista possibile.
Sembra che lei si sia sentito molto coinvolto emotivamente…
Bisognava veramente soffrire. Rocky non piange mai, non mostra mai le sue emozioni, dice sempre che va bene, in realtà la vita lo sta uccidendo. Volevo mostrare al pubblico che lui era davvero sul punto di scoppiare.
Tornando al passato: lei ha capito perché Rocky V non è piaciuto al pubblico?
Rocky V non era portatore di un messaggio positivo e la gente non aveva voglia di vedere questo: era deprimente anche se io pensavo che avesse un valore artistico. Mi sbagliavo evidentemente. Le persone hanno voglia di sperare, di avere la possibilità di trovare la felicità, qualche vittoria nella vita… e non c’era niente di tutto ciò in Rocky V. Ho anche scoperto un Rocky fuori dal ring e non funziona: questo personaggio deve stare sul ring. Se dovessi rifarlo cambierei tutto. Ma allora non avevo vissuto i quindici anni che sono passati.
Per quanto ne so, sono molti i giovani che hanno visto Rocky VI negli Stati Uniti: avevo scritto il film per i miei coetanei, ma non sono andati a vederlo in numero maggiore dei ragazzi di 18, 20, 25 anni…
Come reagisce quando le persone che la incontrano la chiamano Rocky?
Sono molto lusingato che mi si identifichi con Rocky! Quando ero giovane, volevo differenziarmi. Volevo essere un artista. Ma ora, ho capito che è la cosa più bella che mi sia capitata. A Filadelfia, ci sono persone che pensano che Rocky esista veramente (e si mette a ridere).